È corretto analizzare il parametro della glicemia basale, che esprime la quantità di zucchero nel sangue in condizioni basali, quindi non dopo aver mangiato. Sarebbe opportuno che il valore della glicemia fosse, idealmente, tra 80-95 mg/dl. Quando questo valore supera i 100 mg/dl, c’è qualcosa che non funziona.
Un tempo si pensava che un soggetto con valori 105-110 mg/dl avesse una glicemia leggermente mossa. In realtà è inesatto, poiché tale valore, specialmente quando ripetuto nell’arco di 2-3 mesi, è un segnale molto specifico del fatto che negli anni a venire possa evolvere in diabete.
È dunque opportuno pensare di intervenire. Quando attività fisica e dieta sono sufficienti, ben venga. In alcuni casi potrebbe invece non bastare: occorrerà allora un supporto farmacologico o anche nutraceutico, concordato con il proprio medico.
Oggi è facile intervenire: bassi dosaggi di metformina, portatori di effetti collaterali modestissimi se non nulli, sono già in grado di controllare e contenere la glicemia, dove dieta e lifestyle non siano riusciti ad apportare benefici.
Per passare a farmaci ulteriori, quindi salire di dosaggio o abbinarli ad altri farmaci ipoglicemizzanti orali, è necessario l’intervento di un diabetologo, ma sarà lo stesso medico di famiglia a consigliarlo.
Quando la glicemia è poco mossa, sempre in assenza di altri fattori di rischio vascolare, obesità e diabete inclusi, è possibile intervenire con dei nutraceutici: per esempio, le fibre come lo psillio, il glucomannano, la gomma di guar sono in grado di rallentare la velocità di passaggio del cibo dall’intestino alla circolazione sistemica. In questo modo la glicemia verrà tenuta bassa.
Un approccio più farmacologico, sebbene sempre di tipo nutraceutico, è quello che ricorre all’uso della berberina, che, essendo un risparmiatore di insulina, agisce abbastanza bene sulla glicemia basale e in maniera più importante su quella post-prandiale.